Le Marche, Palazzo Ducale a Urbino e l’invidia della Romagna

Vengo da una regione che nessuno conosce, che mi costringe alla perifrasi “all’altezza della Toscana ma dall’altra parte” oppure “davanti alla Croazia” per spiegare agli stranieri dove si trovi. Gli unici che l’hanno subito riconosciuta quando ho detto il nome sono stati belga o olandesi con membri della propria famiglia che avevano comprato casa nelle sue campagne. Qualcuno conosce Ancona, alcuni conoscono Gioacchino Rossini, qualcuno la Scavolini (anche in quel caso dipende, la maggior parte conosce la fu squadra di basket, altri la cucina più amata dagli Italiani), alcuni Urbino. Nessuno conosce le Marche.

Gli stranieri cui mi riferisco sono in genere trentenni, hanno lauree magistrali nei settori più diversi, nella stragrande maggioranza dei casi vivono in un paese che non è il loro e parlano almeno tre lingue correntemente (la propria, quella del paese in cui vivono e l’inglese). È chiaramente valido il viceversa da parte mia nei loro confronti e non è di certo la mancata centralità della geografia dell’Italia nella cultura generale degli europei il mio tema qua bensì chi si vuole invitare nelle Marche e per cosa.

Le Marche sono piccole, scomode da raggiungere dall’estero perché gli aeroporti con collegamenti low-cost più vicini sono quelli di Bologna e Roma (non penso nemmeno a Perugia) rispettivamente a due o tre ore di treno o auto minimo di distanza, ma molto graziose. Sono così graziose e economiche ancora che disgraziatamente la Lonely Planet le ha dichiarate meta fighetta per il 2020, subito dopo l’Uzbekistan. Questa nomination è stata accolta con immensa gioia da tanti marchigiani che hanno dimostrato un campanilismo represso e miope da far spavento: ignorando bellamente un’infinità di movimenti in favore di un turismo sostenibile diffusi in tutta Europa, tutti si sono rallegrati di questa notizia, essendosi visti riconoscere il potenziale turistico della zona e si sono affrettati a farsi selfie con la lonely planet della regione (hashtag ètuttovero, come sempre) e a ripetere il mantra tipico di chi si lamenta che suona qualcosa come “il nostro valore lo riconoscono prima gli stranieri che non i nostri amministratori, ecco!” etc. Tra l’altro mi ha incuriosito notare come tra questi entusiasti ho trovato anche tanti fu membri di Giovani Comunisti e Sinistra Giovanile diventati insensibili con l’età evidentemente all’idea del turismo usa&getta e i suoi problemi socio-economici ma tant’è. Forse l‘invidia della vicina Romagna che ufficialmente si disprezza sempre ma sotto sotto si continua a voler imitare con risultati inverosimili (v. qui) produce anche questi slanci di amore.

Si prevede e auspica quindi un’impennata di visite da parte di turisti stranieri nell’arco dei prossimi mesi di questo nuovo anno bisestile.

E Urbino, quindi, com’è messa, ad esempio?

Come ricordavo qualche settimana fa, quest’anno ci saranno una serie di eventi in concomitanza con il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio.

A dicembre durante le mie vacanze italiane approfittando del fatto che con il biglietto di accesso alla mostra Raffaello e gli amici di Urbino potevo entrare anche a vedere la Galleria Nazionale del Palazzo Ducale, mi sono fatta un bel giro anche al piano nobile, dove non entravo come ho già scritto da almeno vent’anni.

Il Palazzo Ducale di Urbino, che oltre ad essere uno spazio patrimoniale eccezionale in sé ripeto ospita una pinacoteca nazionale, è meraviglioso, o almeno lo sarebbe io credo, ma come visitatrice mi sono trovata in enorme difficoltà nel dover interpretare io sola spazio, opere e contesto.

I disagi di chi visita il palazzo secondo me sono dovuti a una serie di fattori che sarebbe bello e utile venissero presi in considerazione per delle migliorie alla museografia che trasformerebbero la visita da un passaggio casuale in degli spazi in una consapevole scoperta di un bene culturale molto potente simbolicamente

  1. L‘assenza di spiegazioni sulle opere stesse, sulle sale e il Palazzo e sulla selezione di opere esposte tanto nella collezione permanente quanto nella mostra temporanea
  2. L’incoerenza tipografica tra i diversi cartelli della collezione permanente, le saltuarie spiegazioni sulle sale, le rare indicazioni sulle opere, le donazioni della famiglia Volponi
  3. L‘assenza di una segnaletica adeguata sull’intero spazio di Palazzo Ducale che permetta al visitatore di capire dove si trovi in ogni momento della visita e dove si trovi l’uscita, tra le altre cose.

In generale ho trovato incredibilmente scomodo e sgradevole che ai visitatori non venga fornita nessuna mappa delle sale né della mostra né della collezione, non vi siano foglietti né indicazioni e allo stesso tempo purtroppo il personale è molto scarso, al punto che sia io che altri visitatori non riuscivamo neppure a recuperare l’uscita dal piano nobile, date le vaste dimensioni del palazzo e l’assoluta ignoranza della disposizione delle sale da parte nostra (senza conoscerla previamente non dovremmo entrare? dovremmo avere un miglior senso dell’orientamento? ditemi).

Allo stesso tempo è un peccato notare la mancanza di una spiegazione sulla costruzione e storia della collezione (smembrata, recuperata, riassegnata), sulla museografia e sulle opere stesse, sulla loro disposizione attuale all’interno dello spazio, un qualcosa che permetta al visitatore costruirsi un’idea, una seppur minima conoscenza dell’ambiente che sta scoprendo. Sono presenti alcuni pannelli supplementari ma sono iper irregolari e, se non sbaglio gravemente, introducono (cerco di ricostruirle secondo il percorso che ho seguito e le mie annotazioni)

  • il Palazzetto della Jole, l’etimologia e storia dello spazio, l’araldica presente sulle porte
  • le fasi del restauro dell’Alcova del Duca Federico da Montefeltro
  • se non sbaglio gli affreschi rimossi da una chiesa e stranamente montati riproducendo delle vele nell’ultima stanza del palazzetto della Jole
  • le donazioni della famiglia Volponi
  • alcuni degli stucchi dei camini dell’appartamento dei Melaranci
  • le ipotesi sulla Flagellazione di Piero della Francesca
  • di certo “La Muta”, esposta nella mostra al piano terra al momento della mia visita

Perché accade questo? Che scarsezza di fondi ha il museo? Che sovvenzioni ci sono per infrastrutture (non si tratta nemmeno di finanziare progetti di attività e diffusione, attenti!) per i musei nazionali in Italia? Perché la Galleria Nazionale delle Marche non ha una tipografia e una grafica uniforme, omogenea e illustrativa dei suoi spazi e delle sue collezioni? Perché nel leggere i pochi pannelli è così evidente che si tratta di una serie di interventi puntuali avvenuti uno dopo l’altro in modo incoerente? Si può migliorare? Sia per le visitatrici italiane marchigiane che per i forestieri che non parlano italiano, se davvero sono importanti come sembrano e il turismo oltre all’università è tutto ciò che ha Urbino?

Il discorso è anche qui, come sempre o quasi in fondo, chi si vuole o si desidera come pubblico dei musei, quando, e perché….

p.s: Non ho considerato in queste note la visita da parte di persone con disabilità né la visita alle altre sale del piano terra.

Foto: l’Italia da dopo il delta del Po in giù atterrando a Bologna, settembre 2019