Nell’estate del 2010 avevo concluso il mio primo anno di laurea specialistica. Il corso di laurea aveva un nome molto pomposo ed era Máster Oficial en estudios avanzados de museos y patrimonio histórico-artístico *.
In Spagna credo di non aver mai fatto un esame orale in stile italiano, tanti seminari e presentazioni, ma mai un orale. Scrivevamo i nostri bei saggetti, consegnavamo e a volte presentavamo. Tutto entro giugno. Non so nemmeno se ci fosse modo di lasciarsi cose per settembre. In altre parole, avevo un sacco di tempo libero. L’estate si srotolava, mi muovevo tra Argüelles, Malasaña e Lavapiés, tornare a casa di notte al fresco lungo Gran Vía era la mia quotidianità, e durante il giorno oltre a lavoricchiare, studiavo, scrivevo e mi facevo un sacco di domande curiose. Poi alla fine di luglio me ne andai a Berlino per un paio di mesi a studiare tedesco.
Nel gennaio del 2008 Manuel Borja-Villel, fino a quel momento direttore della Fundación Antoni Tàpies a Barcellona, era stato nominato direttore del MNCARS, il Reina Sofía. Non fosse stato così, sono sicura che le mie lezioni specialmente con certi professori, v. sotto, sarebbero state diverse, meno entusiaste e partecipi. Credo che loro stessi ne avessero voglia.
Quell’estate il Reina aveva un programma di esposizioni e attività che era un macello, una bomba. Di una modernità per i canoni spagnoli (e ancor più madrileñi) dirompente, paragonabile secondo me al programma della Haus der Kulturen der Welt di Berlino. Rendendo un gran omaggio al proprio nome, centro d’arte, presentava al pubblico una fucina di riflessioni totalmente fuori tempo massimo rispetto a altri paesi, e pregnanti nel loro essere contemporanee. Pura Spagna.
Mi è estremamente difficile spiegare i temi delle mostre di quell’estate, tanto sono intricati: pochi formati classici e nessun vero nome grande. Principio Potosì e l’arte coloniale (che scopro ora era davvero una cooperazione con la HKW di Berlino), una associazione di idee random, sperimentalismi architettonici latinoamericani.
Ricordo di essere nella piazza antistante una sera, assistendo a uno spettacolo di danza credo del Veranos de la Villa, e di rendermi conto che il gran poster che occupava come sempre la facciata del Reina fosse la rappresentazione di un rizoma. Non si capiva n u l l a. Lo ricordo in bianco e nero con nuclei e frecce che indicavano connessioni logiche e neanche temporali.
Purtroppo non ho foto di quel poster e internet non mi aiuta. Iniziai a pensare a quanto fosse bello trovarsi lì in questo momento in cui il postmodernismo era arrivato in Spagna, in ritardo, come diverse altre cose, e sarebbe stato affascinante scrivere la tesi analizzando i foglietti di sala, i poster, la comunicazione intera del museo, per svelare un cambio di paradigma. Nella frescura estiva di Berlino e del Grimm Zentrum buttai giù diversi indici, liste di parole chiave, bibliografia. Scrivevo un sacco.
Poi buttai via tutto perché ebbi molta paura di non sapere cosa farmene del descrivere una correlazione tra il livello filosofico e quello materiale, indicato dalle variabili della comunicazione. Avevo timore di perdermi nelle letture, di affondare in Deleuze e non sapere come gestirlo, e mi sembrava fine a se stesso. Quindi scelsi di concentrarmi sui finanziamenti pubblici a musei cercando di definire le differenze nei profili delle politiche culturali di tre amministrazioni locali perché era più facile e pratico.
Molti anni dopo, non trovando tregua e avendo quell’idea sul postmoderno che arriva in Spagna, sono in quella fase in cui quando leggo articoli che parlano dello sfasamento culturale spagnolo dico “ah vedi, non era del tutto fuori fuoco”. Il ritardo spagnolo è la sua fortuna, in parte, dicono alcuni. La politica culturale di un’amministrazione è l’espressione concreta di una teoria, e i musei sono una chiave di lettura, un elemento di studio con delle variabili. Leggerne la materialità è un esercizio complicato e dominare gli strumenti teorici per farlo è la cosa che più mi costa, di sicuro perché preferii i finanziamenti a Deleuze all’epoca.
Se cerchi o hai dei suggerimenti di lettura, scrivimi!
Foto: IVAM, Valencia, maggio 2018
*cercando il link ho scoperto che la UCM non ha ancora fatto far pace ai prof dei due bandi. Il programma è totalmente diverso, e i miei docenti preferiti non ci sono più: Lola Jiménez Blanco, Estrella de Diego e Fernando Checa. Checa mi suggerí di leggere Crónica de una seducción de Joseba Zulaika un paio di settimane dopo aver iniziato il corso. Andando a trovare il mio professore della UB nel suo studio un paio di settimane fa lo vidi in cima a una pila di libri in terra. Click.
p.s: con molta tenerezza trovo una delle tante email d’amore a docenti mandate nel corso degli anni risalente a quell’estate, con tutti i suoi errori e la sua sfacciataggine. Il grassetto è di oggi:
“La semana pasada he estado en la presentación del libro Principio Potosí-Reverso, y la verdad es que fue bastante interesante, no tanto por el tema del libro y de la exposición, más bien para los concepto expuestos y la línea del museo, No sé si haya sido grabada, pero con solo buscar los términos utilizados por los ponentes, se notaría la cantidad de “oblicuo”, “hibridez”, “transcultural” “margen” “periferia-centro” y etc.
De todas formas, sería interesante también saber quien ha proyectado y a partir de que premisas teóricas (aunque se puedan intuir), la gráfica del cartel principal de todas las exposiciones temporales, dónde aparecen decenas de flechas que conectan las exposiciones entre sí.
Es un manifesto desorientador y potente a la vez, yo creo.
No tengo las ideas muy claras sobre como estructurar el trabajo, pero espero algo se desarrolle de manera más coherente con más estudio e investigación.”