Bombas Gens: la distanza, l’assenza, la dolcezza.

Marzo 2020: In questo momento un gruppo di circa venti persone sta per iniziare un progetto di scambio e partecipazione. Nato come un laboratorio aperto, un progetto di mediazione intergenerazionale sul patrimonio urbano, sul tessuto sociale e la memoria dello spazio. Un progetto serio nelle intenzioni, che ha lo scopo di intessere relazioni tra abitanti del quartiere in cui si trova un centro di arte e interessati e interessate alla storia della città per costruire una esperienza collettiva di esplorazione della memoria urbana. Ma allo stesso tempo un progetto aperto nella forma, senza un obiettivo tangibile a priori (una mostra? un libro? dei percorsi urbani?), libero, anzi pensato proprio come fucina di idee che avrebbe potuto dare origine alle cose più diverse, il cui formato finale sarebbe stato deciso nell’arco di tre mesi dai gruppi di lavoro.

E poi BUM! Bloccato tutto, tutte ferme, tutti a casa.

La quarantena imposta a livello nazionale appena una settimana dopo l’inizio. Lo spegnimento progressivo di qualsiasi entusiasmo un team avrebbe potuto avere e a sua volta suscitare in un gruppo.

Eppure, grazie a chi ci ha lavorato, non è successo niente di tutto questo.

Un anno è gia trascorso, un anno e qualche settimana – che bella e strana storia, che credo che valga la pena raccontare.

Bombas Gens è un centro d’arte contemporanea che si trova a Valencia; aperto nel 2017, ha una propia collezione e ospita regolari mostre temporanee. Il contesto architettonico del museo è certamente privilegiato: una fabbrica dismessa di Bombas, cioè pompe e valvole idrauliche, tipica archittettura industriale della regione, con un ampio cortile all’ingresso, diverse sale molto spaziose e un secondo cortile adattato a giardino. Come se non bastasse, l’edificio accoglie nei suoi sotterraneinche un antico bunker utilizzato durante la guerra civile e il ben più recente ristorante stellato di Ricard Camarena.

Lo spazio offre una molteplicità di spazi orientabili verso gli usi più diversi che il team di curatori e mediatori ha sfruttato in modo eccellente dall’inizio. Mi riferisco alla incorporazione di opere di land art nel giardino o all’avvio di cicli di conferenze nelle spaziosissime sale o alle mostre temporanee in sé per sé. Nessuna cosa è fuori dal normale, no, certo, ma qui sono tutte insieme e con una grande coerenza, cosa che ha trasmesso da subito la chiara identità del centro, la sua direzione istituzionale. Il team di mediazione era composto da tre persone, e sin dall’inizio sviluppava progetti di natura osmotica tra lo spazio e la cittadinanza, specialmente se del quartiere stesso.

Bombas gens si trova nelle immediate vicinanze del centro storico, proprio sull’altra sponda dell’antico letto del fiume Turia, deviato, prosciugato e quindi trasformato in un parco dopo l’ultima esondazione del 1957. Paradossalmente per le dimensioni della città, questa zona, Marxalenes, è considerata quasi immediata periferia: separata dal centro storico dal parco – fiume, inglobata e fagocitata dalla mostruosa espansione urbana e speculazione edilizia valenciana dagli anni 60 in avanti, ha affitti bassi, diverse zone commerciali e ricreative (multisala e Corte Inglés) adiacenti, la Escuela Oficial de Idiomas tutti intorno ma è costituita prevalentamente da diversi casermoni senza personalità cui si mescolano superstiti case a schiera che constringono strade e piste ciclabili a brusche giravolte non essendo ortogonali e aumentano mano a mano che ci si allontana dal centro, quando infine si arriva Benicalap, ultimo quartiere verso nord, municipio a sé stante fino a fine Ottocento.

Come diventare rilevanti in questo quartiere come centro d’arte?

Con tanta comunicazione e apertura e contatto e coinvolgimento da parte del team di mediazione e didatttica, i cui progetti più interessanti secondo me sono quelli di En Marxa. Il nome del progetto, un contenitore di idee e progetti di mediazione, didattica e curatela molto aperto, è un gioco di parole tra il nome valenciano del quartiere e la duplicità della sua pronuncia in castigliano e valenciano. Letto a voce alta, “En Marxa” può significare sia “in movimento” che “a Marxalenes”, e la dolcezza dell’intenzione dietro questa soluzione è chiara in un secondo.

En Marxa si è sin dall’inizio aperto con un bando, e io ho partecipato all’edizione 2020, e sono più che orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto tutt* insieme.

En Marxa 2020 è stato un percorso straordinario di narrazione empatica di ricordi, personali e collettivi. Un gruppo eterogeneo e vivace, vicine e vicini del quartiere oltre i 70, studenti universitari di storia, geografia, antropologia, appassionati di arte contemporanea e assidui frequentatori del centro stesso. Poteva non venirne fuori nulla, ed era tutto molto in bilico, visto che dopo la prima presentazione avremmo dovuto avere degli incontri con specialisti esterni e costituire poi dei micro gruppi di lavoro e definire meglio la forma concreta che En Marxa avrebbe preso. Ma non ha potuto andare avanti così.

Cancellata la possibilità di lavorare in gruppi e di persona dopo il primo e unico incontro, Eva Bravo è riuscita a mantenere in vita un progetto di mediazione artistica di una delicatezza straordinaria.

Articolandosi su tre assi principali (lo spazio, la memoria e il patrimonio), trasmesso attraverso canali differenti (gli incontri prima, poi Whatsapp, poi Email) e usando supporti diversi (fotografie, scritti, registrazioni trasformati poi in Fanzines) è venuto fuori En Marxa 2020. Il nostro gruppo non ha mai interrotto il contatto durante i due mesi e mezzo che tra inizio marzo e metà maggio 2020 hanno costretto chiunque a chiudersi in casa, con un elicottero che ci girava sopra la testa e auto della polizia che gridavano “restate in casa”, allontanandoci di casa soltanto per andare fare la spesa girando per una città vuota e silenziosa.

In questo contesto alienante En Marxa ha costituito per tutt* un appuntamento settimanale di scambio, uno sbirciare nella vita di sconosciut* che narravano la propria storia personale dentro la città o fuori, che regalavano gratuitamente a chiunque fosse coinvolto ricordi intimi legati allo sviluppo urbano della città o della propria persona o comunità.

Per me Lucrezia ha significato tirare le fila di una serie di elementi non ancora del tutto sedimentatisi sin dal mio trasferimento nel 2017. È stata l’occasione grazie a cui ho potuto mettere a fuoco una linea che attraversava i miei ricordi recenti, che ha diretto quegli ultimi tre anni trascorsi a studiare, una linea che si collegava a cose molto più antiche, di più intima storia familiare, e mi ha permesso di riflettere e chiarire il mio modo di esplorare lo spazio, di memorizzarlo e appropriarmene, modo che continua a soffermarsi e districarsi tra i palinsesti urbani, collegando fili di storie personali all’entorno, e scriverne. Di mio qui ci sono delle pagine a commento di fotografie, due audio che commentano altrettante immagine e la conclusione, che ho letto imbarazzatissima e a sorpresa il giorno della presentazione finale del progetto, con mascherina, nel luglio 2020.

Una cosa semplicissima in sé che le mediatrici di Bombas Gens, ed in particolare Eva, non hanno abbandonato o trascurato in quelle settimane, bensì trasformato rendendolo ancora più unico di quello che poteva diventare in una circostanza più semplice, per non dire banale. Forse che sia stato possibile perché avevano un contratto decente con il centro? Ha questo poi preso una direzione diversa sotto una nuova direzione e il team intero non esiste più? E i progetti, a prescindere dalla pandemia, sono per questo sospesi? Forse è il mio dispiacere per quanto successo dopo che me ne fa scrivere, anche se non ne conosco tutti i dettagli. Perché penso alla relazione che avevano creato, all’unico senso possibile che vedo nell’occuparsi di Patrimonio, creare relazioni e comunità usandolo come mezzo.

Foto: Valencia, Plaza de la Almoina, maggio 2018, in una delle tante inquadrature in cui dà prova di essere una città bidimensionale.

p.s.: raccontare di patrimonio, di musei, di relazione con lo spazio. Di nuovo. Vediamo se ci riesco.