La leva culturale per la coesione sociale (wait, what?!)

Pesaro, la città in cui sono nata e cresciuta, è stata nominata ormai un anno e mezzo fa Capitale della Cultura italiana 2024. Condivisibili o meno le motivazioni della nomina, è davvero un importante risultato: finanziamenti enormi per progetti di ogni tipo, visibilità (che mi auguro sempre porti maggiore trasparenza, correttezza nelle procedure.. etc), curiosità verso il territorio.
A cosa serve quel milione di euro che va in premio alla città con i progetti più belli?
Recita il sito del MiC – Segretariato generale:
“L’obiettivo generale della Capitale italiana della cultura è quello di sostenere, incoraggiare e valorizzare la capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la crescita, lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo.”

Il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la crescita, lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo.

Questi i primi due obiettivi specifici:

  1. ll miglioramento dell’offerta culturale, la crescita dell’inclusione sociale e il superamento del cultural divide;
  2. il rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociali, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica

Il rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociale sembrano essere così importanti da ricorrere addirittura due volte, nei primi due (non troppo ben scritti) obiettivi specifici: è bello però che sia così. Fa quasi tenerezza che siano scritti così male, cioè a qualcuno è sembrato molto importante e nessuna ha fatto un buon editing sul testo. Cacchio, inclusione sociale. Cultura come strumento e obiettivo cultura del superamento del cultural divide, annullamento delle differenze tra chi è più avvantaggiato e chi è più svantaggiato, cultura della inclusione sociale, ovvero, immagino, cultura della integrazione, della fratellanza e della pace, cioè quelle condizioni che permettono la creazione stessa di cultura come manifestazione artistica, che coincide proprio con il miglioramento dell’offerta culturale che viene citato.
Cultura della coesione, della partecipazione pubblica al dibattito politico, del vivere insieme, cultura dell’armonia e della pace, ripeto, condizioni per il vero sviluppo artistico1

In questo tripudio di buone intenzioni, c’è in mezzo una guerra furibonda che tocca Pesaro. Sebbene vada avanti dal 1948, questa guerra è truce e violenta, e lo è in modo particolare dallo scorso sabato, è la guerra tra Israele e Palestina. A seguito di una serie di eventi recenti e dell’acuirsi di violenze e soprusi da parte di Israele, Hamas ha attaccato quest’ultimo in un modo inatteso e violentissimo il 7 ottobre uccidendo circa 2000 persone – la prima volta dal 48, mentre di civili palestinesi tra il 2008 e il settembre 2023, pre-guerra attuale, sono morti 6407 e 152 560 feriti (dati UN) . Per tutta risposta, il ministro della Difesa di Israele ha definito i Palestinesi tutti animali e ne ha ufficialmente decretato la morte, con particolare riguardo per la Striscia di Gaza cui ha sospeso il somministro di energia già da 4 giorni. Israele ha poi invitato chiunque viva in quel buco terribile di terra a spostarsi da nord a sud prima dell’intervento di terra del suo esercito, pronto al confine. Da una settimana si discute dell’apertura di corridoi umanitari per far scappare i civili prima che Israele fondamentalmente commetta un genonicidio dal Sud della Striscia verso l’Egitto, in particolare attraverso il varco di Rafah. E guarda guarda, Pesaro è formalmente gemellata con Rafah.

Quanto è utopico sperare che Pesaro colga l’occasione per rappresentare qualcosa di più di una cittadina qualsiasi sulla riviera adriatica che ha ricevuto un milione di euro per fare mostre e feste per attirare turisti? Quanto è vano sperare che prenda una posizione, che si distingua ed emerga dalle precedenti per dare una sfumatura etica alla sua nomina a Capitale della Cultura? Che cinicamente sfrutti questo ruolo per portare l’attenzione su cosa sia cultura, su quali condizioni servano per creare “cultura”…Una stanza tutta per sé? Una nazione tutta per sé? un territorio per sé? O si può condividere quel territorio? Serve serenità mentale e non una popolazione affetta da depressione e PTSD?

Ad oggi non è stata pubblicata neanche una riga di riflessione né dall’assessore alla Bellezza (la Cultura…) né dal Sindaco Matteo Ricci. Soltanto un ex sindaco della città, Oriano Giovannelli, ha avuto la volontà di parlarne, riflettendo sul valore simbolico dell’idea di gemellaggio.

E quindi, il titolo di Capitale della Cultura, è solo una facciata di cartapesta o potrebbe essere altro?

A margine vale la pena fare una profonda riflessione: quali sono le ragioni legittime per considerare la cultura un mezzo per raggiungere obiettivi così alti e così difficili da compiere, e in cui tanti altri rami della politica hanno fallito? Può la cultura ovviare a politiche abitative inesistenti e che obbligano persone con redditi più bassi a cercare casa nelle periferie mal servite della città? Può la cultura alzare gli stipendi e le pensioni? Può la cultura occuparsi della infrastruttura viaria di una città? Può la cultura creare asili nido? Può la cultura creare lavori a tempo indeterminato retribuiti? Far accendere mutui? Può la cultura creare spazi aperti e gratuiti in cui passare semplicemente del tempo quando si hanno 15 o 70 anni? Questi sono problemi che richiedono interventi a lungo termine, di pianificazione sociale, politica ed economica. La cultura può facilitarli davvero?

Se davvero si crede a questo e non si usa la cultura come uno strumento qualsiasi per attingere a fondi usati poi solo per interventi a brevissimo termine, perché non si amplia la riflessione sul suo valore?
Se si crede che la cultura abbia un merito e un ruolo nei processi di integrazione sociale perché non si rispetta chi vi svolge una professione? perché si delegittima la professionalità di chi vi lavora non pagandola, ostacolando percorsi di formazione accademica, professionale, amministrativa coerenti tra loro?

Ci si crede o no a questi obiettivi e alle motivazioni che portano alla nomina? Forse, anche se ci si crede, quando si gestisce un progetto come quello delle Capitali della. Cultura si fanno prevalere i timori sull’efficacia della cultura anche senza fondarli sugli studi dei miei sociologi del cuore sulle criticità a certe politiche culturali ottimiste, e senza neanche accompagnare i tumori da valutazioni dell’impatto della cultura nel rafforzamento del tessuto sociale. Forse si ha solo paura di essere impreparati, ma forse varrebbe la pena provare, quando se ne ha la possibilità direttamente tra le mani come nel caso di Rafah e Pesaro, a dare un significato più grande a titoli altrimenti vuoti e intervenire.

  1. o ci vogliamo raccontare che grazie a Dio che c’è stata la prima guerra mondiale altrimenti ciao Espressionismo tedesco?! davvero? ↩︎